Stabilità e centralità della Russia: il mantra di Putin per restare al Cremlino

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Se in Ucraina Volodymyr Zelensky ha ormai messo un pietra sopra alla possibilità di tenere le elezioni presidenziali il prossimo anno, in Russia Vladimir Putin verrà riconfermato al Cremlino per la quinta volta: le indiscrezioni arrivate da Mosca negli ultimi giorni danno per scontato che, come previsto, l’attuale presidente si presenterà anche al prossimo giro. Nulla di sorprendente, quindi, né da una parte né dall’altra, dato che, seppur in situazioni diverse, la guerra in corso rende prioritario il mantenimento della stabilità politica. Mentre a Kyiv il quadro è più traballante e Zelensky pare più in difficoltà, proprio a causa di un conflitto che allo stato dello cose l’Ucraina sta perdendo, a Mosca al contrario Putin sembra più stabile, ormai archiviata anche la bufera dello scorso giugno con la rivolta di Yevgeny Prigozhin.

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (Getty Images).

Parola d’ordine stabilità

Sono praticamente 25 anni che Vladimir Putin regge le sorti del Paese, al vertice di una verticale del potere costruita dopo l’anarchia oligarchica sotto Boris Yelstin nel primo decennio dopo il crollo dell’Urss. Diventato primo ministro del 1999, poi nominato successore al Cremlino nella notte del Capodanno del 2000, confermato alle urne nel marzo successivo e poi rieletto in maniera più o meno plebiscitaria nel 2004, 2012 e 2018; in mezzo la parentesi di Dmitri Medvevdev, tra il 2008 e il 2018. La Russia degli ultimi cinque lustri è stata in mano a Putin e alla sua squadra, fatta di siloviki, gli uomini dell’apparato militare e di sicurezza, oligarchi e tecnici di vario orientamento, dai più liberali, caduti lentamente in disgrazia dopo la crisi ucraina del 2014, ai più nazionalisti, alle spalle del presidente ancora oggi. Cardine del putinismo: la stabilità del sistema interno, da mantenere a tutti i costi, insieme a quella esterna, con la Russia che aspira a essere uno dei centri del nuovo ordine multipolare mondiale.

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Putin è entrato al Cremlino nel 2000 (Getty Images).

Le due fasi del regno putiniano

La linea e le tempistiche seguite da Putin e dai suoi sono chiare. Va però ricordato che le torri del Cremlino sono numerose e l’architettura del potere non è monolitica ma divisibile in buon sostanza di due atti: il primo, durato fino al 2012 e concluso con il ritorno alla presidenza dopo il quadriennio di Medvedev, è servito per stabilizzare la Russia, anche economicamente, a livello interno, creando un sistema politico già rigido e difficile da ribaltare, sia da forze interne che estere; il secondo è stato dedicato a riportare il Paese a occupare una posizione determinante sulla scacchiera internazionale, fatto di una politica aggressiva e non più passiva di fronte a quella degli Stati Uniti. In questo senso si possono interpretare i conflitti scaturiti già in precedenza (2003-2004) con le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina, passando per l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, per arrivare sino all’invasione totale dell’Ucraina nel 2022, mentre gli Usa e l’Occidente si impegnavano in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Medio Oriente, dal 2001 a oggi.

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Putin con il presidente cinese Xi Jinping (Getty Images).

I nuovi equilibri mondiali e il ruolo della Russia

Il prezzo della stabilità interna si è tradotto nel passaggio, o per per meglio dire nel ritorno, all’autoritarismo, dato che negli ultimi secoli la Russia ha conosciuto la democrazia, dopo gli zar e il comunismo, solo per qualche anno e nemmeno nei suoi aspetti migliori. E questo è uno dei punti che ha reso facile la costruzione e il consolidamento della verticale putiniana, entrata in difficoltà solo negli ultimi tempi. Lo scardinamento del mondo unipolare, la nuova stabilità internazionale cercata dal Cremlino hanno condotto a una frattura profonda tra Russia e Occidente, ma non all’isolamento di Mosca come Unione europea e Stati Uniti si aspettavano. In questa prospettiva gli equilibri sono già cambiati, con un ulteriore accelerazione data dal conflitto in Medio Oriente, che ha accresciuto la spaccatura tra quelle che viene ormai definito l’Occidente complessivo, destinato a diventare sempre più debole, e il resto del mondo, che si sta rafforzando. Vladimir Putin, nei prossimi sei anni alla presidenza, ammesso e non concesso che li farà tutti, avrà non pochi problemi da affrontare per mantenere la stabilità che finora è stata sostenuta da un’economia difettosa, ma comunque funzionante a sufficienza. I legami sempre più stretti con la Cina e le potenze in ascesa, economica e politica, nel sud del mondo, serviranno anche a tamponare le falle, in assenza di riforme strutturali economiche interne. Alle quali, dovrà pensarci il prossimo inquilino nel Cremlino, in nome, sempre, della stabilità.

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